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PROBLEMI CON LA CERTIFICAZIONE DEI MODULI FOTOVOLTAICI

La tariffa incentivante percepita dagli impianti fotovoltaici passa obbligatoriamente nel vaglio della verifica delle certificazioni dei moduli.

Gli anni del “Conto Energia” sono sempre stati caratterizzati da un problema costante: l’approvvigionamento di moduli fotovoltaici ovvero la ricerca di un componente che garantisse almeno un discreto rapporto qualità prezzo; purtroppo però molte aziende, anche marchi blasonati, hanno ceduto a tentazioni che oggi sono una bomba ad orologeria innescata su ogni impianto fotovoltaico (1 impianto su 4).

Noi di AdA abbiamo visto davvero di tutto e non vogliamo che il nostro messaggio passi per un modo di fare marketing per cui, per capire le molteplici problematiche che potrebbero avere i vostri moduli, proveremo a farvi conoscere sommariamente alcuni processi produttivi e modalità con cui anche gli Enti di Certificazione garantivano il rispetto di determinate norme indispensabili per l’accesso alle tariffe incentivanti.

La prima riflessione va fatta sul tratto distintivo di ciascun modulo: la targa identificativa ed il numero di matricola.

Questi due elementi, definiti dalla norma “dati di targa”, devono essere posizionati sul modulo nel rispetto della norma CEI EN 50380 ovvero riportare esattamente una serie di informazioni attraverso etichette “…in materiale duraturo dentro o sopra il modulo fotovoltaico…”. Purtroppo, l’estrema facilità di stampa delle etichette nonché i costi esigui per realizzarle in materiale duraturo, ha portato molti produttori, in affanno con le consegne, ad immettere sul mercato pannelli realizzati da altre aziende e spacciati per propri.

Ciò che allora sembrava una soluzione in realtà oggi sconta la preparazione del personale GSE che, anche in collaborazione con la GdF, riesce a distinguere i moduli “contraffatti” rispetto a quelli “originali” e correttamente certificati. Il problema, scalato alle giuste dimensioni, non riguarda solo moduli fotovoltaici finiti ma anche i componenti del modulo (wafer in silicio, junction box ecc…) per cui non è raro trovare in campo moduli fotovoltaici prodotti effettivamente da una determinata azienda ma con componenti differenti dal test report che ha consentito la certificazione, ad esempio, alla norma CEI EN 61215 per i moduli policristallini.

Gli Enti di Certificazione, chiamati a garantire la conformità dei moduli, sono società private in libero mercato di concorrenza pagate dal produttore dei moduli: la singolare circostanza, unita al fatto che i tecnici certificatori sono solo periodicamente (e spesso su appuntamento) sull’impianto di produzione, ha ulteriormente complicato il quadro d’insieme. Non è raro trovare certificazioni non corrispondenti al prodotto o emesse su regole sequenziali non univoche.

Dal “Quarto Conto Energia” in poi i Decreti incentivanti hanno inteso premiare, con un incremento della tariffa, quegli impianti realizzati con componenti prodotti all’interno dell’Unione Europea per cui il mercato delle forniture, già in estrema difficoltà, ha avuto da una parte la produzione in Europa insufficiente e dall’altra aziende extraeuropee (sostanzialmente tagliate fuori) che proponevano qualsiasi accordo commerciale pur di continuare ad importare nel mercato italiano.

Oggi è frequente trovare in campo pannelli “clonati” in Cina o in India e venduti come prodotti Europei; il periodo è stato talmente caotico che ha portato aziende Europee a ritargare persino prodotti italiani già di provenienza extraeuropea.

In questo “quadro” di insieme il proprietario di un impianto e i tecnici che lo hanno realizzato possono fare poco e niente poiché quasi sempre i moduli, sebbene “contraffatti”, sono comunque performanti ed anzi, spesso, producono anche maggiore energia dei moduli “originali”: i produttori ritargavano le potenze richieste dal mercato, anche quando avevano scorte con potenze reali maggiori.

Tutto ciò, sebbene sia una truffa evidente nei confronti del proprietario dell’impianto, mette il GSE nelle condizioni di revocare la tariffa incentivante all’impianto e di richiedere indietro tutte le somme percepite dal momento in cui l’impianto è entrato in esercizio o i moduli sono stati installati.

Proprio su quest’ultimo punto c’è da fare un’attenta riflessione poiché l’impianto, per conservare la tariffa, deve garantire per tutto il periodo di incentivazione la conformità dei moduli alle norme; ciò significa che la presenza anche di un solo modulo “contraffatto”, magari installato in sostituzione, comporta il totale decadimento della tariffa incentivante ed il recupero delle somme percepite dalla data di installazione di quel componente.

Oggi quasi tutti i produttori di moduli dell’epoca sono spariti o hanno eseguito operazioni societarie che li pongono al riparo da qualsiasi controversia e con ciò aggravando la posizione dei proprietari di impianti che molto spesso non riescono a reperire le certificazioni richieste in verifica dal GSE anche quando in campo hanno moduli “originali”.

Il GSE purtroppo non ha, o meglio non aveva fino al 2017, possibilità di fare valutazioni discrezionali: i moduli, tutti, (che siano 10 piuttosto che 10.000 su un impianto) devono essere certificati secondo le regole previste dal Conto Energia. Tutti!.

Il problema è talmente diffuso (il 25% degli impianti in Italia) che il legislatore è dovuto correre ai ripari attraverso 3 strumenti normativi che oggi consentono ai proprietari di autodenunciarsi (al di fuori di un procedimento di verifica) ottenendo una riduzione del 5% della tariffa incentivante.

E’ chiaro che diventa importante per il proprietario di un impianto capire il prima possibile se i moduli presenti in campo sono tutti “originali” e certificati secondo le norme previste dal Conto Energia; è altrettanto chiaro riveste un ruolo fondamentale anche in presenza di moduli “originali” riuscire a reperire tutte le certificazioni necessarie a dimostrarlo al GSE.

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